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Aldo Baglio racconta il Trio nel libro “Tre uomini e una vita”

Dopo 25 anni di fortunata attività, gli inseparabili Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti, protagonisti di film e programmi di siccusso, si sono raccontati in un libro: “Tre uomini e una vita”.

«C’è stato un tempo in cui Aldo faceva l’operaio alla Stipel, Giovanni l’acrobata e Giacomo l’infermiere all’ospedale di Legnano. Tutti e tre, però, avevano un sogno: recitare». Tre singole persone, ma per tutti una specie di “trinità”: Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti, in arte semplicemente Aldo, Giovanni e Giacomo. I componenti del trio più famoso d’Italia, – secondo solo a Marchesini, Lopez, Solenghi, – nel venticinquesimo anniversario della loro attività, ha raccontato il proprio privato nel libro “Tre uomini e una vita”, un vero e proprio backstage sulla loro esistenza. Da come si sono conosciuti al trio, passando per gli anni difficili fino al raggiungimento del successo. La storia di tre vite ma anche di una solida amicizia tra persone semplici. Amicizia che risale al 1985 e che però, ultimamente, sembrerebbe essere messa a dura prova, almeno secondo le indiscrezioni circolate in rete, dalla presunta decisione di Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti di separarsi. Gridate pure: “Non ci posso creeedereee”… E, a quanto pare, tutto sarebbe dovuto ai numerosi disaccordi tra Giovanni, che sembra voglia sempre imporre le proprie scelte, ed Aldo, più incline, invece, a mostrare il suo estro. Ma sarà vero? Certamente è difficile mettere insieme tre teste diverse ed essere sempre in completo accordo. D’altro canto, c’è chi invece sostiene che il trio non sia affatto in crisi, anzi, è già pronto a tornare in scena a settembre, dopo la pausa estiva con le rispettive famiglie. Di sicuro c’è solo che migliaia di fan sono in apprensione. E per la prima volta, Aldo si stacca dal coro e parla da solo. Dopo aver indossato i panni di uno sfortunato Conte Dracula, dopo aver cercato di somigliare a Pirandello improvvisandosi poeta, e dopo essersi spacciato per Ajeje Brazorf; il siciliano trapiantato a Milano, si racconta in questa intervista.

Perché avete deciso di scrivere questo libro: “Tre uomini e una vita”?

«L’intenzione di questo libro è semplicemente quella di festeggiare i nostri primi 25 anni di carriera come trio, ma anche di cominciare una nuova fase. Noi optiamo sempre per il nuovo, mai per il vecchio».

Il libro, che nel titolo richiama un po’ il vostro più grande successo “Tre uomini e una gamba”, è soprattutto la storia di una lunga amicizia.

«Io, Giacomo e Giovanni abbiamo vissuto negli anni ’80, anni decisamente particolari. E vivere quegli anni, in una città come Milano, che è una città molto aperta, ci ha dato l’opportunità di fare tanta gavetta anche perché il teatro, allora, era per personaggi più importanti. Il nostro sogno era riuscire a fare il giro dei teatri. Abbiamo avuto l’opportunità di fare Zelig, e ancora prima, io e Giovanni abbiamo fatto “Il derby” e poi, assieme a Giacomo, il “Caffè teatro”. Insomma, piano piano abbiamo raccolto un sacco di repertorio e siamo andati alla ricerca di un impresario che ci facesse fare teatro. Dopo “Mai dire gol” è partita l’escalation. Avevamo una voglia matta di fare, un argento vivo addosso pazzesco. In appena un anno abbiamo fatto: “Mai dire goal”, teatro e “Tre uomini e una gamba”. Cosa che non si ripeterà mai più perché adesso non c’è più quella voglia di lavorare come allora. Sempre con Massimo Venier e Arturo Bracchetti abbiamo così cominciato a fare cinema, cosa che non pensavamo minimamente di fare perché il massimo obiettivo, soprattutto per me, era fare teatro».

Quante storie di vita vera avete messo nei vostri film?

«Più che storie direi che abbiamo inserito episodi veri. Ne ricordo uno particolarmente divertente. Lo sketch della “Subaru baracca” che facciamo a teatro trae spunto da una storia vera perché avevamo davvero sbagliato giorno. Queste sono cose con cui scherzi e posso dirti che parecchie cose sono nate proprio da esperienze vere o equivoci».

C’è stato un momento in cui ha pensato di smettere e cambiare mestiere?

«Si, in realtà ci ho pensato più di una volta, all’inizio della mia carriera. Non è che volessi esattamente mollare il lavoro di cabarettista, che tra l’altro mi piaceva e anche parecchio, volevo piuttosto arrotondare con qualcos’altro. C’era mio padre che aveva un taxi e così per un attimo avevo pensato di fare di giorno il tassista e la sera il cabarettista. Poi questa cosa mi è passata, per fortuna. E’ così bello dormire fino a tardi!»

Aldo, il prossimo anno sono 60 anni, cifra tonda. Mi fa un primo bilancio?

«Già 60? Ma davvero? Miiiii… E’ difficile fare un primo bilancio di questi anni. In realtà mi rendo conto che è iniziata una nuova fase, e la sento per davvero. E’ la fase della maturità, del cambiamento, quello vero, e ve ne accorgerete tra poco».

C’è un vostro film che si intitola “Chiedimi se sono felice”. Quindi glielo chiedo: “E’ felice”?

«Sicuramente sono sereno e ho molti momenti felici. Perché, diciamocela tutta, la felicità poi ti fa impazzire. Non puoi essere sempre felice! Io auspico più alla serenità che è forse più importante perché è tangibile. La felicità, invece, diciamocelo, è più una bugia».

Angela Failla

© Intervista pubblicata su Visto n.33 – 17 agosto 2017, pp.57/58

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