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Bertolucci racconta i retroscena di “Ultimo tango a Parigi”

Bernardo Bertolucci

Lo ha reso celebre e fatto soffrire. Ultimo tango a Parigi, il capolavoro firmato Bernardo Bertolucci, sarà di nuovo nelle sale cinematografiche dal 21 al 23 maggio, in una versione completamente restaurata in 4 k. La storia d’amore proibita e il dramma di due sconosciuti:  la bellissima Jeanne e il disilluso Paul, rispettivamente Maria Schneider e Marlon Brando, torna così agli antichi splendori, rinnovandosi nella bellissima e malinconica fotografia di Vittorio Storaro che ne ha curato il restauro. Da allora son passati ben 46 anni.

«Ho visto il restauro fatto da Storaro e la copia è bellissima. Rivederlo è stata una grande emozione, un po’ come se fosse la prima volta. C’era una luce risplendente eppure rimaneva quella leggera patina vintage che è giusto che abbia dopo tutti questi anni. Questa versione consente per la prima volta di apprezzare le voci originali, senza quello strano italiano del doppiaggio che a volte toglie i chiaroscuri della recitazione. E’ senza dubbio una rievocazione sincera».

Quella tra Bertolucci e la macchina da presa è una storia iniziata tanti anni fa. Una lunga liaison d’amore che ha lasciato negli spettatori immagini di rara sensualità e bellezza.
Era il 1972 e il film divenne subito un capolavoro controverso che fece scandalo. Un piccolo tesoro con dentro anche i segni di un’epoca: quella del ’68 in una Parigi in fermento. E in questo sfondo la struggente storia d’amore tra i due protagonisti. Durante le riprese si creò un ottimo clima, tant’è che Maria Schneider si sentì addirittura protetta da Brando e dalla troupe.

E’ vero che non le fu facile trovare il protagonista  maschile di Ultimo tango a Parigi?

«Inizialmente chiesi a Jean-Paul Belmondo di interpretare il protagonista maschile. Quasi mi cacciò dicendo che non avrebbe girato un porno. Quindi pensai ad Alain Delon che però mi propose di diventarne anche il produttore. Così una sera, cenando a Roma, mi venne in mente il nome di Marlon Brando. Riuscii ad incontrarlo a Parigi, gli raccontai la storia e infine mi invitò a casa sua a Los Angeles per discutere della sceneggiatura. Finimmo a parlare di tutt’altro. Lì capii che da parte sua non c’era alcun pregiudizio sul film».

Un film cult con un attore che praticamente viveva in disgrazia.

«Marlon Brando era un attore morto, finito. Ma lui non lo sapeva, viveva in un mondo tutto suo, era umile. Stava lì con il suo bongo e le letture giapponesi. Ma era perfetto per quel ruolo e lo volli così fortemente che abbandonai la Paramount perché non lo accettava  per il ruolo da protagonista». 

La sua capacità di portare in scena personaggi ambigui e smarriti dentro struggenti  storie d’amore cariche di scene di sesso, come nel film Ultimo tango a Parigi, le causò una condanna per oscenità.

«Ricordo che a me, a Marlon Brando e al produttore Alberto Grimaldi diedero due mesi di carcere ma con la condizionale, essendo incensurati, non andammo in galera. Però, tempo dopo, per le elezioni del ’75 o ’76, scoprii che avevo perso il diritto di votare».

Ha criticato aspramente Ridley Scott per la vicenda Kevin Spacey.

«Ho provato un po’ di vergogna per Ridley Scott, malgrado il grosso potere contrattuale che ha con Hollywood, ha scelto di sottostare alla imposizione razzista su Spacey. Allora ho subito avuto voglia di fare un film con Spacey».

Angela Failla

© Art. pubblicato su Io gioco pulito https://giocopulito.it/il-ritorno-di-ultimo-tango-a-parigi-il-mito-di-bertolucci-e-brando-torna-al-cinema-in-versione-restaurata/

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